Burning Down The House, una non-intro
Fra le tante cose per cui può essere ricordato, Gill Scott-Heron era solito cantare “Revolution will no be televised “, un breve e semplice verso che sintetizza e racchiude l’essenza di quelle che potrebbero essere ampie e profonde trattazioni sociologiche.
Nel 1971, quando uscì Pieces Of A Man, album che vede proprio in apertura il brano di cui sopra, radio e televisione erano i media di riferimento, con la seconda sempre più presente in ogni casa.
Quanto cantato da Gill Scott-Heron era permeato dei valori del movimento del ’68 e ne faceva un vero e proprio Manifesto: non cercare la rivoluzione in televisione, brotha, perchè la rivoluzione sarà live.
Questo succedeva durante la Rivoluzione Culturale del ’68 e gli anni a seguire che hanno visto la nascita, l’affermazione e anche la degenerazione dei movimenti di massa in tutto il mondo.
Consapevole di questo, la prima volta che ho sentito cantati quei versi è stata una vera e propria folgorazione. Sono passati ormai 50 anni e di quella Rivoluzione è rimasto ormai poco se non nei libri di storia, ma per me che sono figlio dei tempi che vivo “revolution will not be televised” ha sempre significato che il vero cambiamento rivoluzionario non dovesse essere cercato “fuori” o porsi passivamente, subendo gli input esterni, nell’attesa di essere travolti dall’onda giusta. Piuttosto, questo motto l’ho sempre interpretato come un invito a guardarsi dentro, ad essere la propria rivoluzione e che l’atto più controverso in questi tempi di omologazione furiosa fosse la costante ricerca di consapevolezza del proprio pensiero e delle proprie azioni.
In questo dettaglio microscopico ed estremamente soggettivo ci vedo tutta la bellezza del mio rapporto con la musica; un momento per fermarsi, pensare, ascoltare, farsi domande e ricevere risposte, isolarsi per guardarsi dentro per poi di nuovo ricollegarsi con quanto ci circonda con una coscienza più forte.
Ho avuto modo di approfondire questo aspetto, ma soprattutto, ho trovato il tempo di mettere in ordine pensieri e parole, nero su bianco, in questi giorni di confinamento collettivo.
Burning Down The House vorrebbe essere una rubrica musicale a cadenza.
No, non manca l’aggettivo che ne quantifichi la cadenza effettiva perchè non la riesco a prevedere nemmeno io. Quindi, Burning Down The House è una rubrica musicale a cadenza-punto.
Là fuori ci sono un sacco di professionisti più qualificati e preparati del sottoscritto in ambito di recensione musicale con i quali per onestà intellettuale non desidero mettermi in competizione in alcun modo, ma che anzi, seguo volentieri e con attenzione. Quindi si potrebbe dire che Burning Down The House è una rubrica musicale senza pretese a cadenza-punto. Già meglio.
Il principio da cui sono partito per creare questo non-contenitore è in realtà molto naif: coordinare orecchie, cervello e dita mi fa stare bene.
Nel rito del prendersi del tempo per sfilare il disco dalla sleeve, piazzarlo sul piatto, appoggiarci la puntina sopra e sedersi ad ascoltare ci ho sempre visto una solennità analoga all’arte giapponese della coltivazione e della cura di un giardino zen. Mettere per iscritto le suggestioni generate da questa ritualità, non è altro che l’esercizio ultimo con cui si mettono in ordine le idee e si rendono fruibili.
Questo mi porta necessariamente a dire che quindi: B.D.T.H. è una rubrica-zen musicale senza pretese a cadenza-punto. Quasi.
La condivisione, infine, è un altro valore imprescindibile del coltivare una passione. Quello fatto fino ad ora con l’altro Fra è frutto proprio di questo e la direzione in cui ci muoviamo segue sempre il fine ultimo di creare uno spazio per la nascita di una comunità attiva di appassionati sempre più numerosa. Come ripetuto più volte nel podcast, l’invito esteso a tutti è quello di partecipare nei modi che più vi fanno stare bene.
Quindi, per chiudere, posso dire senza troppi indugi che B.D.T.H. è una rubrica-zen musicale a cadenza-punto, senza pretese, se non quella di seminare curiosità e generare condivisione. Perfetto.
Ci aggiorniamo con la regolarità suddetta per lo scritto; a voce siamo ovunque, il giovedì prima dei dischi, ma questo lo sapete;
Franz
P.s. : ringrazio gli Swans per l’album The Seer che è stato la colonna sonora che mi ha accompagnato durante la scrittura di questa non-intro.
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