Cecil Taylor, storia del pianista jazz pioniere dell’avant-garde
Cecil Taylor e la storia del pianista jazz che ha forgiato l’avant-garde: iniziamo!
Durante l’Episodio 19, parlando di musica jazz con il nostro batterista overskillato preferito, è venuto fuori un argomento che spesso abbiamo affrontato ma che Tancredi è riuscito a riassumere benissimo dicendo che il jazz ormai è una impostazione mentale, uno state of mind e non un genere.
Infatti, nel momento in cui, oggi, si parla di jazz non si fa riferimento a caratteristiche comuni di genere come strumenti, suoni, ritmi, quanto più ad un modo di fare degli artisti.
Artisti che si sentono liberi di sperimentare ed esprimersi senza limiti portando quindi ad innovazione. Che poi è quanto ci aveva detto Chris Illingworth dei Gogo Penguin.
Tutto questo, ad ogni modo, non sarebbe possibile, oggi, senza il lavoro di alcuni artisti, ieri. Gente libera e che viaggiava in direzione ostinata e contraria, per citarne uno a caso.

Senza divagare troppo e tornando al jazz, fra artisti più importanti e allo stesso tempo underground – anche un po’ Spinnit, dai – sotto questo punto di vista abbiamo Cecil Taylor.
Cecil Taylor un pezzo di storia, un pianista jazz fra i più particolari, padre dell’avant-garde, nonché fra i fondatori di quello che verrà definito free jazz. Artista cui, tra l’altro, abbiamo fatto riferimento più volte: ricordate la storia della canzone dedicata da Idris Ackamoor ad uno dei suoi maestri?
Proprio per questo motivo – e perché al momento non possiamo registrare ma ho voglia di scrivere – ho deciso di provare – sottolineo, provare! – a raccontare un po’ questo immenso musicista attraverso 5 suoi album.
Cecil Taylor, pianoforte, free Jazz e Avant-Garde
Quando pensiamo al jazz molti dei nomi che vengono in mente sono della cosidetta epoca d’oro, ovvero quel periodo fra anni ’50 e ’60 in cui il genere entrava nelle vite di sempre più persone con capolavori senza tempo. In quegli anni, infatti, con il lavoro di Coltrane, Davis ed Hancock, solo per citarne tre, il jazz diventava popolare. Questi artisti, infatti, erano riusciti a creare qualcosa di diverso e cui la gente si era appassionata. Ma soprattutto qualcosa che, nonostante virtuosismi e sperimentazioni, riuscivano a capire. In più, nonostante fosse un periodo fatto di innovazione e sperimentazioni, i risultati erano tutto sommato ben definiti all’interno di certi canoni. Il jazz, insomma, era un genere musicale nel vero senso della parola.

Sempre negli stessi anni, tuttavia, a New York, altri artisti come Cecil Taylor e Ornette Coleman, stanchi di questi schemi, cercavano di uscire da questi canoni. Guardavano al futuro. Cecil e Coleman, infatti, con arrangiamenti frenetici e una generale destrutturazione della musica e dei brani, stavano gettando le basi di quello che sarebbe stato poi definito free jazz. Un jazz, come dice il nome, free: libero; da schemi e strutture tradizionali, soprattutto. Ma anche proiettato verso il futuro.
Futuro che, però, almeno negli States era ancora troppo lontano dagli interessi del pubblico. Il pianista newyorkese fu di fatto costretto a spostarsi in Europa per poter lavorare: era un po’ troppo avanti, avant-garde, per il pubblico statunitense.
Solo dalla metà degli anni ‘60, quando anche mostri sacri come John Coltrane e Albert Ayler si unirono al movimento, Cecil cominciò a ritagliarsi il suo spazio: pur sempre una nicchia, comunque, rispetto a ciò che altri riuscivano ad ottenere. E questo perché Cecil nelle sue sperimentazioni non faceva nulla per essere neanche vagamente popolare: ancora oggi la sua musica resta complessa e davvero difficile anche all’orecchio più allenato.

Nonostante questo, comunque, Taylor proseguì la sua carriera ampliando il suo pubblico e raggiungendo l’apice nel momento in cui il free jazz cominciò ad essere permeato di elementi spirituali, poetici, politici e anche dai forti riferimenti africani. Solo in quel momento quel tipo di jazz divenne di fatti popolare. Qualcuno ha parlato di Cosmic Jazz?
Dalla fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, quindi, la musica di Cecil trovò finalmente lo spazio che meritava e lui stesso divenne maestro e mentore di tutta una generazione di jazzisti e artisti politicamente impegnati e, soprattutto, alla ricerca di libertà.
“Quello che con cui gli intellettuali bianchi devono confrontarsi è la metodologia che noi artisti di colore ci portiamo dietro quando facciamo musica. Il mio obiettivo è di mantenere la tradizione di pianisti come Fletcher Henderson e Duke Ellington e allo stesso modo ricollegarmi alla tradizione millenaria della musica nera.”
Jazz & Pop magazine, 1971.
Un artista a tutto tondo, un maestro, letteralmente, visto che per un periodo fu professore alla University of Wisconsin e ottenne anche la Guggenheim Fellowship nel 1973.

Una volta raggiunto il successo, comunque, Cecil proseguì incessantemente la sua attività artistica con numerose collaborazioni e pubblicazioni anche durante gli anni ‘80, il periodo forse più avaro di successi per il jazz. Anni in cui Taylor tornò in Europa e in particolare a Berlino, dove l’avanguardia e il jazz facevano ancora presa. E dove rimase, proseguendo la sua carriera fino alla fine degli anni ’90.
Ultimamente, infine, l’opera di Cecil Taylor è di nuovo tornata sotto i riflettori grazie al nuovo movimento cosmic jazz e in generale alla linfa che questa musica, grazie anche agli artisti di cui abbiamo spesso parlato, sta finalmente ritrovando.
Unit Structures (1966)
Come è facilmente intuibile, in una discografia così densa e varia, non è facile trovare riferimenti da cui partire. Provo comunque a darvi qualche titolo, partendo dal presupposto che I Might Be Wrong.
Unit Structures è forse l’album più famoso di Cecil Taylor. È stato realizzato con Eddie Gale alla tromba, Lyons e Ken McIntyre al sax alto, Henry Grimes e Alan Silva al contrabbasso e Andrew Cyrille ai tamburi, ed è stato pubblicato da Blue Note.
Questo album è un’estremizzazione del free jazz di cui parlavo prima: tutto è improvvisato e il concetto di struttura musicale viene completamente distrutto, lasciando spazio ad esplorazioni sonore e ritmiche che di tanto in tanto vengono unite ad esplosioni melodiche.
Un disco molto complesso – veramente – che, però, restituisce bene l’idea di musica portata avanti da Cecil.
The World of Cecil Taylor (1960)
The World of Cecil Taylor è forse l’album più fruibile della discografia di Cecil e questo perché fotografa il momento di transizione fra la musica jazz tradizionale e il nuovo approccio di Taylor. Diciamo l’anello di congiunzione fra ciò che era e ciò che doveva essere per Cecil, ecco.
Melancholy (1990)
Faccio un salto negli anni ‘90, ma solo temporalmente. Melancholy, infatti, è decisamente affine a ciò che veniva realizzato negli anni ‘60. Ed è, in particolare, un disco decisamente cosmico e fortemente influenzato dallo stile di Albert Ayler e Sun Ra. Un album molto importante per il genere e fra quelli che hanno influenzato tutta la scena cosmic jazz attuale a partire da Kamasi Washington.
Corona (1996) e Nefertiti, The Beautiful One Has Come (1962)
Sempre negli anni ‘90, precisamente nel 1996, esce Corona. Un album realizzato da Cecil Taylor e Sunny Murray, batterista newyorkese che Taylor aveva conosciuto durante gli anni ‘60 e con cui aveva suonato Nefertiti, the Beautiful One Has Come, altro album da recuperare, registrato live a Copenhagen: fra gli album più importanti della carriera di Cecil.
Con Corona Taylor e Murray tornano al free jazz con la lunghissima Sector 2 – 48 minuti! – e si perdono in viaggi astrali in Sector 1 e Sector 3.
Indent (1973)
Nonostante importanti collaborazioni con altri musicisti, Cecil Taylor è famoso anche per i suoi lavori da solista, perfetti per estremizzare i suoi concetti musicali, specie al pianoforte. Indent è uno di questi: un recital portato avanti in solitudine in cui il pianista dà libero sfogo al suo stile di piano decisamente percussivo e atipico.

Questi erano solo alcuni suggerimenti per conoscere meglio Cecil Taylor e la sua storia: un pianista fondamentale per lo sviluppo del jazz e dell’avant-garde.
Ci sarebbe molto altro da dire su questo artista e probabilmente lo farò in un Episodio del Podcast. Per chi volesse approfondire, consiglio di leggere cosa dice uno che ne sa decisamente più di me: Piero Scaruffi.
Su Telegram, poi, condividerò anche qualche libro a riguardo e, naturalmente, i link all’acquisto degli album. Quindi seguiteci anche lì. Se avete domande, suggerimenti o altro riguardo Cecil Taylor, c’è sempre la Hotline di SpinnIt, che non chiude nemmeno d’estate: +39 379 1449026. Whatsapp e Telegram, s’intende.
Peace!
Salse: Marcus J. Moore; Piero Scaruffi; Il Post; Wikipedia.
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