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Bologna, Pazienza, gli Skiantos

Sbarbine/i di tutto il mondo, unitevi. Leggete i muri, i fumetti e occupate il DAMS.

Al ragazzo che vive al 223 di via Emilia Ponente, e risponde al nome di Andrea Pazienza la Bologna del Settantasette sembra inizialmente pervasa da uno sprazzo. Lo dice lui in persona, entrando a gamba tesa nel suo stesso fumetto, che dal titolo parla di una strana grottesca forma di supereroe che risponde al nome di Pentothal e che, promette, ci porterà a inseguire le sue straordinarie avventure, e invece fin dalla prima pagina, troviamo Andrea. E, neanche a farlo apposta, negli Skiantos troviamo Andrea.

Trovare Andrea

Andrea (reale) -Pentothal (immaginario) che viene lasciato dalla sua tipa (reale-immaginaria), motivazione: ti vivi addosso, anzi ti vivi addosso sdraiato, Andrea (reale) -Pentothal (immaginario) che sfugge ai pestaggi (reali) dei fascisti (reali) sotto inconfondibili portici (reali-immaginari) dove campeggiano scritte come “via Pier Paolo Pasolini” e “Monte dei Paesi Baschi”, Andrea (reale) -Pentothal (immaginario) che impara tutto quello che si deve sapere dalla vita nelle ore di fila per la mensa universitaria. 

Io ho conosciuto prima Andrea (reale) di Pentothal, Zanardi e Pompeo; Andrea era su un muro dell’“àulautogestìta” del mio liceo nel mio anno da “quartina/sbarbina”. 

Di me amate il riflesso, quella memoria che sale dalle cose che tocco. Andrea Pazienza

Così, c’era scritto.

“Bello” ho pensato. “Chissà a che anno si studia, Andrea Pazienza.” 

Le sbarbine, come fanno a non piacerti?

Monotono e Pentothal. Averci storie così pese da viversi addosso.

Lo so che avevo detto: un libro e un disco, e che nel distillare le cose bisogna essere precisi, ma qui trattiamo di alcol puro: c’è una mostra su Pazienza a Bologna, a Palazzo Albergati fino a metà settembre. E lo so che manca poco alla fine, ma se potete andateci. Non ve ne pentirete. E giratela ascoltandovi gli Skiantos.

Perché più che una mostra su un artista è una mostra su un mondo intero, che non è che stia tanto lì per ricordarci quel che è stato, ma più che altro per aiutarci a capire il presente. 

Brucia le banche, bruciane tante, calpesta le piante. Skiantos

Bologna quel Settantasette se lo porta addosso ancora in bella vista, come una grottesca cicatrice che ne prolunga un cupo sorriso. Bologna ha ancora la voce, fastidiosa, scanzonata, disgustosa, di Freak Antoni.

Ve li ricordate gli Skiantos? Ce ne aveva parlato Fra (@franznardi) nel lontano episodio 4 del nostro podcast preferito, e non a caso li enumerava tra le pietre miliari della cultura punk rock o, Panka Rock, come direbbero meglio loro. A dirla tutta, ci hanno proprio insegnato loro un modo di dirle diverse, le cose. La loro musica è una celebrazione (ragionata) del viversi addosso.

La meccanica non mi interessa

La Lucilla che lascia sotto i portici di Bologna un apatico Andrea-Pentothal parla come la perfetta compagna femminista da DAMS occupato della Bologna del Settantasette. Al sincero risentimento verso il suo (non più) amato si mischia un registro ricercato e drammatico da oratrice universitaria (scarsa dignità) e una venatura politico-polemica che rispecchia perfettamente il suo tempo (la tua totale disiniformazione).

Pazienza mischia tutto: stili, accenti, cadenze, slang giovanile, come mischia gli stili di disegno, dai cartoon americani al puntinismo, dalle città apocalittiche di Moebius al minimalismo .

L’insostenibile leggerezza degli Skiantos

Freak Antoni rimane a un livello più scarno: ti lascia credere di non saper dire un granché, di essere un cazzone perdigiorno e strafottente che si pone come alternativa all’altezzosità espressiva del cantautorato classico, invece con pennellate rudi e sarcastiche da rock demenziale dipinge una realtà tanto libera quanto violenta, tanto impegnata quanto contraddittoria. Monotono è un disco eclettico, rumoroso, irriverente, geniale. C’è una canzone d’amore (Io ti amo da matti / se vuoi ti lavo i piatti), una onirica, sensuale e latrante Bau Bau Baby, parodie di quel cantautorato impegnato e politico in cui si riconosceva il Movimento (Panka Rock), autocelebrazioni finto-machiste demenziali (Io sono uno skianto / suono senza l’impianto / con un urlo ti incanto / perché sono uno schianto).

Alle schitarrate anni Ottanta e agli omaggi al punk rock britannico e americano dell’epoca si affianca il ritornello di Diventa Demente, sardonico cha-cha-cha (la cultura / poi ti cura / con premura) che esalta l’ignoranza, il demenziale divertimento di massa e in generale nulla sfugge all’occhio (stralunato sì, ma feroce) degli Skiantos, che azzanna il popolo da riviera, Sanremo e boom economico, mette a nudo il marcio ipocrita della società da farsa in cui si sentono di vivere e quindi fa quella cosa che dovrebbero saper fare tutti i grandi artisti: spingerci a riflettere. Altrimenti siamo un pubblico di merda / applaudiamo per inerzia.

Skiantos – Largo all’avanguardia – live 1978

Kinotto e Zanardi. Non il male, il vuoto.

Kinotto è del 1979, e si sente.

Siamo nel dopo, nella disillusione. I disturbati disturbatori della quiete da brava gente sono ancora lì e ancora carichi, ma non è più tempo di credere che le cose cambieranno davvero. “I gelati sono buoni / ma costano milioni” canta Freak Antoni in Gelati, e ancora “nella notte l’ho sognato nella gola / l’ho gustato ma costava un puttanaio / quel chinotto dal lattaio” giusto per ribadire che no, le cose non sono cambiate.

Però questo non vuol dire che sia cambiato il loro modo di fare musica: c’è ancora tutto un mondo da mettere in ridicolo, con l’accento inglesizzante di Mi piaccion le sbarbine che scimmiotta il mito americano, con testi nonsense infarcite di slang giovanile su basi rock and roll come con Il rock ti dà lo shock o Ti rullo di kartoni (Quando vedo la tua musta mi ricordo a quella festa / m’hai pestato senza sosta c’hai la mano troppo lesta). Ma c’è anche un’altra componente, una vena nichilista e cupa che in Monotono sfociava in rabbia, e ora invece si espande nel vuoto, nel freddo. E chiunque abbia letto Pazienza sa che il freddo interiore ha un solo profilo: il naso aquilino di Zanardi.

Skiantos, Scagnozzi cazzoni

Se ce li avete bene in mente, gli Skiantos – Freak Antoni, Dandy Bestia, Jimmy Bellafonte, Sbarbo, Andy Ballombrosa, Leo Tormento Pestduro –non potete non aver pensato almeno una volta che fossero usciti da un fumetto di Pazienza (e non è detto che non sia così). 

I riferimenti in comune che si ritrovano tra le loro produzioni si sprecano (concerti futuristico-dadaisti e illustrazioni psichedeliche, una comicità cupa e tagliente, provocazione sesso, ironia, autoironia ed eroina, paura, incertezze, l’amore. La droga. L’amore per la droga). 

Brutti ceffi disneyani con il chiodo e le gambe storte, scagnozzi del ragazz(in)o più cupo della storia del fumetto italiano, Massimo Zanardi. Cinico, spietato, crudele. Ma soprattutto vuoto.

È un freezer il mio cuore / io non sento più amore / non sopporto il dolore / mi fa schifo il tuo sudore”. Si stende una patina di gelo su questa Bologna che è stata messa fino a quel momento a ferro e fuoco. Francesco Lo Russo è morto. Radio Alice l’hanno sgomberata i carabinieri (ma in Italia non è mai esistita la censura!).

Storie pese, un branco di coglioni sul palco che imitano Tenco e gli altri smelensi autorucoli che dominano le classifiche italiane, e un branco di sbarbini che architettano crudeltà orribili e fanno risse nelle strade. Ma non è da Pazienza votarsi alla sofferenza. 

Perché il freddo, quello vero, sa essere qui, nel mio cuore di sbarbo.

Zanardi è un personaggio capace di raccogliere un modo di essere del mondo. O meglio, il suo modo di non essere.

Con Zanardi, Pazienza” scrive Manuele Fior “ha spento la luce e ha mostrato che quel buio delle nostre case era straordinariamente popolato”.

Più c’è luce e meno si vede” ha scritto con il neon un collettivo artistico russo sulla cima di un casermone a trenta piani. Fear of the dark, hanno cantato gli Iron Maiden. E mi fermo qui.

Un Cuore di tenebra di casa in via Emilia, che con il grande Kurtz conradiano condivide però anche quell’amore per la battaglia, quella sofferenza che non è puro dolore, è rincorsa, non è mai sprazzo, è sempre inizio, del tutto irrilevante che il salto sia… nel vuoto.

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